Pensieri

Pensieri in emersione.

di Aleardo Nardinocchi

Occasioni per rintracciare radici

Informazioni dalla fantasia.
Ricercare le tracce dal patrimonio dei miti,
Linee di universo che si incurvano a cappio attraverso la sospensione temporanea dell’io, che può costituire la trappola, recuperare il passato
Recuperare il gorgo che giace al di sotto dei comportamenti, i gangli delle manifestazioni/segni della nostra specie, siamo cellule di un unico organismo spalmato nel tempo
Le forme ritornano, l’anello del DNA mitocondriale (forma/struttura primaria) che raccogli/accoglie le fonti dell’energia
Gli atomi delle Supernove ove si è formato il carbonio…gli atomi sono antichissimi e poi immortali
La memoria è collettiva, la trasmissione è collettiva. La presenza è in tutto ciò che può essere. Approfittiamo della reazione del nostro cervello così simile a quella di tanto tempo fa, quando l’ambiente era diversissimo
I miti sono la memoria in rappresentazione della nostra specie prima della storia. Avvicinarsi al senso del mito significa riappropriarsi di matrici/generatrici delle figure dei paesaggi
Dobbiamo sforzarci di intendere i misteri delle società primitive (o primigenie). Fantasie? Origini forse da accadimenti reali.
Per avvicinarsi ai miti serve il senso del pensiero magico
Su un campo si condensa sinteticamente (in uno spazio) entro la tessitura dei segni il dispiegarsi degli accadimenti
È un segno mitico, una dimensione mitica che esprime i processi senza dover rispettare la successione degli accadimenti, senza progressione
Il progetto di paesaggio potrebbe avere questa connotazione: la significazione complessa spaziale della formazione delle civiltà espresse (ricostruite?) anche attraverso il mito.

Sulla “mappa” intendere “paesaggio” ciò che miticamente espresso
Non importa la successione temporale, no, importano le dinamiche spaziali che si aggrumano nella proposizione spaziale densa
È rilevante sapere e segnare lo spazio-paesaggio: una rappresentazione segnica, si condensa il processo vitale in un “campo”, in una concrezione, entro una tessitura di segni.
Uno spazio temporale dimostra un “eterno presente”
Un sistema di segni in sezione, connessione di spazi-concavità naturali/artificiali con dinamiche comportamentali di relazione
Dimensione sintetica del tempo non come scorrimento ma come conferma di avvolgimenti di complessità spaziale
La memoria agglutina in una estensione spaziale che si avvolge in una figura “centrale”
Il tempo spazializzato che è tempo organico, è vitale nella “crescita” figurale che si conferma come segno con leggi proprie
Il sito diviene paesaggio una volta che “convergano” i segni della propria organica continua ridefinizione vivente, e i segni conformati rispetto ad essa configurazione lo sono dal riconoscimento del proprio esserci nel tempo da parte delle popolazioni.

I siti divengono allora magici riflessi spaziali, come grumi di sacralità (ri-conoscimento del senso del sacro)
Segni sulla terra, spazializzazioni del tempo. Marcare un luogo come spazio costruito vuol dire essere nel riconoscimento del rapporto.
Se c’è corrispondenza tra il cielo e la terra per la “vegetazione” in senso ampio, per la costruzione del paesaggio è prima di tutto vitale segnare il rapporto
I miti descrivono il mondo come universo
Le figure aniconiche presentano le connessioni-proiezioni del cielo
Il linguaggio geometrico-simbolico lega e promuove il ritorno temporale e la contestualizzazione spaziale inscrive il paesaggio nella promozione sacra a tale perpetuarsi temporale, connettendo la facies mutante geo-morfologica e la esplicitazione corrispondente vegetazionale della Madre alla costruzione consapevole (cosmologicamente) dello spazio artificiale
Lo spazio costruito è dato solo in relazione alla consapevole necessità del rapporto vuotato alla riproduzione della vita
I segni significanti rispetto al cielo, i numeri simbolici, le dinamiche rotte delle genti e la dinamica del cielo, conpresenti nei miti, dettano parametri vitali per le configurazioni spaziali sia alla scala dell’architettonico che alla scala vasta, rendendo il paesaggio “corrispondente”, condizione necessaria per la vita.
La realtà fisica consiste in impulsi infinitesimali di forza che agiscono istantaneamente (con tali impulsi esterni la mente genera le figure); entra in gioco la parte nascosta della vita della mente (miti, immagini) gli antichi si riconnettono con noi: anche il repertorio delle figure, già presenti nella mente con tutta la loro forza, ritorna attivo per riproporre il senso, ma anche la figurazione già attivata, che ci appare “coerente” per costituire “riferimento”.
Se siamo in presenza di una figurazione che attiva il rapporto ci sentiamo di poter attingere al repertorio unicamente per cogliere il rapporto con il senso; forse anche perché i fenotipi possano riattivarsi nella proposizione di un processo progettuale che rimodellandoli li renda attivi.
I miti come immagini pregnanti di universi fantastici trascorsi, in cui il “fantastico” appare come attivazione di un rapporto.
Ma anche come racconti del come segnare la Madre con la presenza dell’agire collettivo.
L’antenato e il successore sono una cosa sola, e nella mente si affacciano immagini congruenti di cui avvertiamo la forza creatrice.
Le immagini, la forza delle immagini, se ci appaiono lasciamo che emergano, forse potremo coglierne il senso, celato nelle figure trasuda il senso.
Abbandoniamo le osannate leggi della ragione che comunque non sembrano cambiare nel tempo e nello spazio, nella società e negli individui, inglobando miti e sogni ricordiamoci di fisionomie che più corrispondono alle figure, ai simulacri immaginati che lampeggaino nella mente.
Le emozioni trasportano il rapporto con l’esistenza dei mondi, rapporto empatico.
Movimenti di linee definiscono flussi d’armonia su un organismo-struttura, la cui bellezza percepiamo come contatto instaurato. Le emozioni tendono ad unificare ciò che è proprio di umanità non sottoposta ai criteri della pseudorazionalizzaione. Lo spirito di quelli che siamo sempre stati “riemerge”.
La conoscenza è secondaria, è più importante essere in sintonia sapienziale.
La conoscenza presuppone la trasmissibilità sorretta da una mirata attenzione che tende a scansionare.
Noi trasmettiamo però ciò che abbiamo elaborato sugli accadimenti, non la realtà. Conviene perciò interpretare racconti da fonti di diversa natura. Ma, del resto, bisogna tenere ben presente che interpretare il significato di un mito elaborato da una comunità protostorica, dove l’accadimento e l’immaginario sono fusi, produrrebbe lo scadimento del senso, poiché ciò che conta è la totalità. Il sapiente è colui che sa molte storie antiche ma le sa come fatti.
Il mito corrisponde di più alla realtà, la storia è un racconto; l’uomo protostorico è una cellula vivente d’uno organismo che è proiezione corrispondente d’un mondo iperuranio: ne discende il non inserimento nel flusso temporale. L’aderenza non razionalizzata a questi presupposti fa riemergere le parti della mentalità contemporanea che sono forse ancora identiche a quella degli antichi che elaborarono un mito che riflette i modi di sentirsi comunità.
Percorriamo forme-labirinti che ci mettono in comunicazione con quegli altri della nostra specie.
Ciò che tende a riconoscersi come forma perfetta è archetipo, miracolosamente un’immagine che instaura rapporto con l’essenza (se vi è vera corrispondenza) per intuizione.
La parola “immagine” non deve trarre in inganno. Limmagine non è solo rappresentazione visiva, essa emana una energia che può essere quasi neutralizzata dalla messa in funzione della mera razionalità: bisogna lasciare emergere la rivelazione, cioè l’apertura ad un lampo che conferisca creatività come espressione di vitalità.
Il mito è forma, fa emergere con “chiarezza” l’essenza della forma.
Se io sono saggio so molte storie antiche dove parole e fatto coincidono. Qualcuno ha detto che “mito” coincide col significato di parola che esprime ciò che è effettivamente accaduto nel passato. Coincidenza di “parola” e “fatto”.
Certamente le parole/figure del mito sono rispondenti alla realtà se si sa decodificare le analogie.
Il mito può essere testimonianza.
Possiamo allora entrare in contatto con le energie originarie.
Non si può percorrere in maniera letterale un mito. È possibile, poiché ogni prototipo di creatività è ispirato dal mito, (lo sentiamo “respirare”), ritrovarlo nelle figure dell’artificiale, se possediamo il senso del “vedere” e siamo capaci di saper “cogliere” quelle figure.
Vieni allora posseduto da quelle immagini e puoi ricordare perché riconosci: non è operazione che si possa razionalmente costruire.
Nelle figure riconosciamo un rapporto che rende possibile la predisposizione al “plasmare” altre figure. Sarà allora che la figura possederà un potere di corrispondenza con l’essere.
Le forme artificiali quando sono emanate da una necessità interna sono adatte e corrispondenti, non sono qualsiasi configurazione, ma effettivamente per loro natura sono “corrispondenti”.
In questa corrispondenza possiamo ritrovare il senso del bello: ciò è quando la forma attiva l’essere nelle cose. Il corpo della cosa possiede la sostanza vitale se possiede la corrispondenza.
Le forme/fisionomie della terra/mondo trasmettono la forza dell’essere. Dobbiamo saperne cogliere le manifestazioni.
Le figure della terra (le geo-morfologie) sono forme della natura come manifestazioni del rapporto dell’essere. Le forme della natura sono manifestazioni dell’energia dinamica insita nell’essere che il mito poi ha la forza di trasmettere.
L’agire poetico porta in emersione l’immaginazione creatrice agglutinante la materia densa di vita. L’astrazione come segno dell’empatia col vivente veicola la “messa in forma” che fa emergere nella figura, dà l’esistenza al senso dell’essere.
L’archetipo della forma si manifesta nella visione-azione-rappresentazione.

 

 

 

“Solo quando non ci sarà alcuna poesia, né arte figurativa, né musica, né architettura, sarà giunta la fine del mito. Ma questo giorno non verrà mai, se non col tramonto del genere umano”.
– Walter Friedrich Otto-

 

 

“Pensare in termini di sola ragione, pietrifica il mondo”
– Le Courbusier e de Pierrefeu –

 

“…la coscienza è come una membrana interposta tra il mistero interiore e il mistero esteriore, La qualità di quetsa membrana (la nostra coscienza e le nostre azioni) dipende direttamente dall’intensità e dall’attrazione dei due misteri. L’ambiente, il mistero esterno più prossimo a noi, è il creatore di coscienza (creatore di vita) più potente”.
– Paolo Soleri –

 

“e come poeta, scioglitore d’enigmi e liberatore dal caso, insegnai loro a preparare il futuro e a liberare creando tutto ciò che fu;

a liberare il passato nell’uomo e ri-creare ogni “fu” finché la volontà dica: “Ma era così che lo volevo! E’ così che lo vorrò”.

Questo, dissi loro, è redenzione. E insegnai loro che la redenzione è questo, e non un’altra cosa. E ora attendo la mia redenzione, per andare un’ultima volta da loro.

Perchè ancora una volta voglio andare a trovare gli uomini: voglio tramontare fra di loro, e morendo dar loro il mio dono più ricco!

Ho imparato cioè dal sole quando tramonta, lui il ricco, il sovrabbondante: che getta nel mare oro a piene mani nella sua inesauribile ricchezza,

in modo che anche il più povero dei pescatori rema con un remo dorato. Questo ho visto una volta e guardando non mi stancavo di versar lacrime.

 

“Se mai un soffio è venuto a me dal soffio creatore e di quella divina necessità che obbliga perfino il caso a danzare la danza delle stelle:

se mai ho riso col riso creatore del fulmine, che è seguito dal lungo tuono dell’azione, che borbotta sì, ma obbidisce;

se mai ho giocato ai dadi con gli dèi, seduto al tavolo divino della terra finché la terra tremò e s’infranse e sbuffando vomitò verso l’alto i fiumi di fuoco

(perché la terra è un tavolo divino, e trema in attesa di nuove divine parole creatrici e d’un divino colpo di dadi):

oh, come non sentirei un cocente desiderio dell’eternità e del nuziale anello degli anelli, l’anello del ritorno?

Friedrich Niettzsche

 

 

Alessandro Mendini (Domus n. 941, Novembre 2010)

[…]In tutti gli stili, in tutte le epoche l’artista deve far riferimento a un repertorio di forme ed è la conoscenza di questo repertorio che permette l’attuazione della comunicazione […]”.
Gombrich, Arte e illusione